Nello scenario collettivo vi è la convinzione che l’esercizio del potere della governance nel settore bancario sia ancora declinato al maschile. In realtà la convinzione si basa su un fondamento di verità perchè il gender gap in questo settore solo quest’anno ha visto decollare un timido cambiamento.
Infatti, si può dire che l’anno 2022 ha sancito l’inizio del cambiamento.
Mi riferisco ovviamente alle banche non quotate perché le banche quotate in quanto tali sono state destinatarie della Legge Golfo-Mosca da undici anni e quindi l’obbligo normativo del 40% delle quote di genere vige già nei board degli istituti di credito quotati. Invece, le banche non quotate ed i gruppi bancari non quotati che operano in Italia non erano fino a gennaio 2022 destinatari di nessuna disposizione come non lo sono attualmente tutte le società di qualsiasi settore non quotate.
La Banca d’Italia nel luglio 2021 ha voluto porre un accento su tale gap con l’aggiornamento della circolare n.285 del dicembre 2013 che riguarda il governo societario delle banche, nel quale aggiornamento ha introdotto nelle disposizioni di vigilanza la prescrizione di una quota di genere minima pari al 33% sia nei Cda che nei collegi sindacali. L’intervento regolamentare ha trovato la ratio nell’art.53, comma 1 lett d ) del Testo Unico Bancario che attribuisce alla Banca d’Italia il potere di emanare disposizioni in tema di governo societario e organizzazione. In seguito a tale prescrizione le banche a cominciare del primo rinnovo del gennaio 2022 entro giugno 2024 si stanno e si dovranno adeguare. Mentre per le banche di piccole dimensioni questo obbligo è previsto entro giugno 2024 per il 20% ed entro il 2027 per il 33%.
Una novità dispositiva importante perché promana dalla Banca d’Italia che rappresenta l’Autorità Nazionale competente nell’ambito del meccanismo di vigilanza unico sulle banche che operano nel nostro ordinamento. Quindi una disposizione prescrittiva risulta in tal guisa con natura vincolante per gli istituti di credito.
Il problema soggiace nel meccanismo dell’apparato sanzionatorio, in quanto anche se la natura di tali disposizioni per le banche non quotate ha natura vincolante, però, non può essere previsto alcuna sanzione, nel caso in cui le banche non quotate non si adegueranno al vincolo. Ecco quindi la differenza con una disposizione normativa come la legge Golfo-Mosca, che prevede come sanzione che alla terza diffida se la società non si adegua la Consob commina la sanzione della decadenza dell’intero Cda. Nel caso delle banche non quotate trattandosi di una disposizione meramente prescrittiva sia pure vincolante; però nel caso in cui le banche non quotate non si adegueranno non potrà essere comminata a queste nessuna sanzione perché trattasi di una disposizione prescrittiva e non di una disposizione legislativa.
È pur vero che la disposizione in questione ha previsto che il meccanismo delle quote dovrà essere inserito negli statuti, conseguentemente, tutte gli statuti delle banche non quotate dovranno inserirlo se non vi è una specifica previsione.
La Banca d’Italia sempre in tema di gender balance (women e governance) ha emanato due importanti raccomandazioni in termini di “buona prassi”. Ovviamente, le raccomandazioni non hanno natura vincolante come le prescrizioni. La prima raccomandazione prevede che nei comitati endo-consiliari, obbligatori o meno, vi sia un componente del genere meno rappresentato; la seconda raccomandazione è volta a prevedere una diversità di genere tra le cariche di vertice. Inoltre, è stata prevista anche per le banche di minore dimensione la necessità di procedere all’approvazione di policy per la promozione della diversità e dell’inclusività. Importante messaggio quindi che è arrivato dalla Banca d’Italia che si è cosi allineata all’orientamento europeo e nello specifico alla Direttiva (U.E) c.d “CRD V” e linee guida EBA in un settore come quello bancario.
La riflessione che ne consegue è che un cambiamento culturale ancora sostenibile stenta a decollare perché lo sviluppo della parità di genere deve passare sempre da una disposizione che sia prescrittiva oppure normativa, cioè la volontarietà nella scelta della governance di declinarne l’esercizio anche al femminile senza provvedimenti che lo prevedono ancora non vi è. Infatti, anche in tutte le società non quotate di tutti i settori non ci sono numeri che brillano per inclusione femminile.
Questo orientamento nel considerare ancora necessarie tali meccanismi di previsione di quote lo ha recentemente acclarato il Parlamento Unione Europea licenziando la Direttiva Unione Europea che ha previsto l’obbligo delle quote di genere nelle quotate per tutti gli stati membri e che tali stati dovranno adeguarsi entro il 2026.
Però siamo in piena traiettoria sul binario per il raggiungimento dell’obiettivo cinque dell’Agenda 2030 ONU sullo sviluppo sostenibile. Io penso che il vero raggiungimento dell’obiettivo si avrà quando si passerà dal rispetto di un obbligo alla scelta volontaria della valorizzazione dei talenti femminili. La stazione di arrivo del binario del recovery sostenibile si avrà quando non saranno più necessari gli strumenti normativi, dispositivi che debbano accendere e alimentare a benzina il motore del gender balance. Il nuovo Governo Meloni ha istituito importanti cambiamenti nelle denominazioni dei Ministeri è molto bello il cambio della denominazione del MIUR diventato, infatti, Ministero dell’Istruzione e del Merito. Lo trovo interessante e foriero di imprimatur ad una nazione che ha lasciato sempre svilito la meritocrazia soprattutto quella delle donne.
Avere per la prima volta nella storia italiana un premier donna che ha sfondato il soffitto di cristallo con il suo merito, avere un Ministero del Merito mi fa auspicare che il recovery sostenibile della scelta volontaria della valorizzazione del merito femminile prima poi arriverà e si potrà abbandonare a quel punto il necessario ricorso ad oggi obbligato di provvedimenti prescrittivi di quote.