di Ivo INVERNIZZI
1. La sottile differenza tra ‘buoni progressi’ e ‘ulteriori e sostanziali progressi’ dell’economia
Prima dell’annuncio monetario Fed del 16 giugno, era convinzione diffusa che, a causa del recente dato d’inflazione sorprendentemente forte, era probabile che l’istituto bancario centrale americano desse il via alla discussione riguardo l’uscita dalla sua politica monetaria ultra-accomodante.
Del resto, le dichiarazioni rilasciate dagli alti funzionari della Fed erano suscettibili di un’interpretazione in qualità di prove che testassero le reazioni del mercato al sentore di un possibile futuro tapering. Si noti che, contrariamente a quanto era avvenuto nel 2013 in occasione del cosiddetto ‘tapering tantrum’ di matrice Bernanke, i primi accenni di inversione di tendenza questa volta non avevano sortito movimenti repentini di mercato; ragion per cui il mood Fed sarebbe forse stato orientato a maggior cautela.
D’altro lato, era ragionevole prevedere che, i dati macroeconomici di recente pubblicazione non fossero ancora abbastanza robusti da consentire alla Fed la segnalazione del tapering già nello Statement di giugno. Già nell’annuncio di aprile, Powell aveva invocato, non uno ma ‘una serie’ di dati forti sul mercato del lavoro già all’inizio di aprile. A seguito della innegabile delusione originata dai deboli dati macro di aprile, i dati di maggio sarebbero stati preferibilmente forti. Era peraltro innegabile che, un solo buon rapporto non coincideva certamente con una ‘serie’ di dati positivi desiderati da Powell. Si noti che, il primo autentico passo nella direzione di normalizzazione della politica monetaria statunitense corrisponderà al ridimensionamento degli acquisti di bond.
Se osserviamo l’evoluzione del quantitative easing pandemico, fino a questo momento la Fed ha acquistato titoli per un valore mensile di 120 miliardi di dollari.
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